Gamification: un nuovo modo di fare recruitment
In questi ultimi anni stanno sempre più prendendo piede le dinamiche della gamification e dei serious play. Non si tratta di giochi pensati semplicemente per intrattenere, quando più di tecniche di gioco applicate a vari processi aziendali per renderli più stimolanti e utili.
La piramide dei bisogni di Maslow.
Nel 1954, lo psicologo Abraham Maslow individuò un modello dello sviluppo umano basato sulla realizzazioni di bisogni. Alla base quelli fisiologici primari, che servono a garantire la sopravvivenza, mentre, man mano che si sale verso la punta della piramide, si vengono a trovare bisogni sempre più appaganti, fino ad arrivare, in cima, all’autorealizzazione.
Proprio su questi bisogni è basata la gamification, che mira a motivare e migliorare le capacità dei dipendenti, consentendo loro di liberare il proprio potenziale.
Inoltre, per arrivare a valorizzare sempre più il capitale umano dell’azienda , la gamification può essere abbinata ad altri metodi, come, ad esempio, il design thinking o la flip education.
Gamification nel processo di recruiting.
Sulla base della Piramide di Maslow, la gamification interviene agendo soprattutto su autostima e autorealizzazione, consentendo al candidato di risolvere piccoli problemi, di conoscere la filiera aziendale in modo simulato e di essere fidelizzato, una volta assunto.
Alcune aziende hanno introdotto già da tempo lo strumento della gamification come prima fase di selezione dei pretendenti candidati. Attraverso questi “giochi”, infatti, i recruiter propongono piccole esperienze simulate di realtà aziendali per cui i candidati acquisiscono punteggi e abilità a secondo del livello che riescono a raggiungere. Chi poi riuscirà ad accedere al colloquio finale, sarà molto più preparato, avrà le giuste competenze e, soprattutto, sarà avvantaggiato anche nell’onboarding, avendo già avuto modo di conoscere, anche se in modo simulato, la realtà aziendale.
L’elemento della spontaneità nella gamification.
Un ulteriore vantaggio che il recruiter può trarre dall'introdurre la gamification nel processo di selezione, è sicuramente la possibilità di ottenere informazioni sul candidato che durante un colloquio canonico potrebbero essere dissimulate.
Giocando, infatti, si tende ad essere più spontanei e meno controllati, quindi emergono dati sul profilo del candidato che altrimenti non si sarebbero mai rivelati. E che, invece, potrebbero essere determinanti nella scelta della figura ideale. Soprattutto se il recruiter si trova di fronte ad un candidato millennial (cosa molto probabile, dato che nel giro di qualche anno la maggior parte della forza lavoro sarà nata tra il 1980 e il 2000), che ha un modo di affrontare le varie problematiche diverso dalle generazioni precedenti.
L’ambiente ludico, inoltre, stimola la creatività e le doti di problem solving, consentendo al selezionatore di valutarle in modo semplice e oggettivo.
Come costruire la propria simulazione di gioco.
Ovviamente non esiste una simulazione adatta per ogni azienda, anche se dello stesso settore. Ogni percorso di gamification dovrà essere studiato per evidenziare quelle competenze e quelle soft skill essenziali per poter accedere a un determinato ruolo in una determinata azienda, che avrà specifici percorsi produttivi.
Sarà quindi il recruiter a dover avere ben chiari gli obiettivi della selezione e anche quali sono gli elementi relativi all’azienda che si intendono passare al candidato durante questa prima fase del processo di selezione (policy e organizzazione aziendale, ad esempio).
Oltre che nel processo di recruiting, la gamification può essere utile anche per formare o aggiornare il personale in un processo di reskilling, stimolare una sana competizione tra colleghi, migliorare la performance e a sviluppare il pensiero strategico.