Neurodiversità: un valore aggiunto per l’azienda

Cosa significa neurodiversità? Il termine, coniato nel 1998 da Judy Singer, una scienziata sociale con tratti autistici, sta ad indicare tutte quelle persone che non hanno una tipicità neurologica. Le persone neurodiverse, infatti, imparano, pensano ed elaborano informazioni in maniera differente: la Singer suggerisce di interpretarle come delle variazioni alla neurotipicità, quindi non di per sé negative.

Cosa significa portare la neurodiversità in azienda?

Tipicamente si parla di autistici, Asperger, ADHD, dislessici: tutte persone che hanno capacità cognitive differenti, non necessariamente menomate. Nella storia ricordiamo che Mozart e Shakespeare soffrivano di disturbi dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD) o anche, Einstein era dislessico. In tempi più recenti, anche Steve Jobs (Apple) e Richard Branson (Virgin) hanno costruito imperi pur essendo dislessici.

Questo ci fa riflettere su come anche la neurodiversità, come qualsiasi tipo di altra diversità, etnica o di genere, possa rappresentare per l'azienda un valore aggiunto, piuttosto che un handicap. Introdurre la diversità, di qualsiasi tipo, nel proprio management consente di avvalersi di un’inesauribile fonte di “pensiero laterale”, utile a rivedere il proprio lavoro sotto una luce sempre nuova, innovativa e mai convenzionale.

La neurodiversità porta con sé talento.

Tendenzialmente chiunque abbia una qualsiasi forma di neurodiversità, se da una parte potrebbe sembrare in deficit (tipicamente nelle relazioni interpersonali o nello studio con metodi convenzionali), dall’altra sviluppa istintivamente talenti al di sopra della norma. I ADHD, ad esempio, hanno una grande facilità a gestire le situazioni di stress anche in presenza di numerosi input, e hanno una grande creatività. Gli autistici o Asperger, invece, hanno una maniacale attenzione al dettaglio, una memoria di ferro (ricordate tutti il film RainMan, vero?) e capacità visuo-spaziali al di sopra della norma. Infine chi soffre di dislessia o DSA, avendo uno stile di apprendimento molto visivo, sfrutta questa sua caratteristica per percepire informazioni visive in modo più rapido ed efficiente rispetto ai non dislessici (Geiger et al., 2008); questa capacità sembra rivelarsi vantaggiosa in professioni che richiedono il pensiero tridimensionale, come nei campi dell’astrofisica, della genetica e dell’ingegneria.

La sfida è creare team sempre più eterogenei, anche dal punto di vista dei neurotipi.

Se finora i team manageriali pensavano di dover affrontare la sfida del genere e dell’etnia, la rivoluzione che sta attraversando il mondo del lavoro è talmente profonda che dovremo prestissimo fare i conti con modalità, non solo di gestione del team, ma anche di riprogettazione della nostra attività, totalmente nuove.

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